I funzionari dell’Ufficio delle Dogane di Forlì-Cesena hanno individuato, con la collaborazione della Guardia di Finanza, una maxi frode I.V.A. da 60 milioni di euro nel settore della vendita di prodotti di elettronica, telefonini e computer nelle province di Forlì-Cesena, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Bologna e Rimini.
L’indagine è nata da una verifica condotta dall’Ufficio delle Dogane di Forlì nei confronti di una società forlivese, operante nel commercio all’ingrosso di elettronica, che evitava sistematicamente di versare l’I.V.A. all’Erario.
In esecuzione delle attività di indagine, delegate dalla locale Procura della Repubblica, i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con i militari delle Fiamme Gialle, hanno portato alla luce una organizzazione criminale facente capo all’amministratore della società forlivese la quale, oltre a non versare l’I.V.A., si procurava anche inesistenti crediti I.V.A. attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, secondo il sistema della "frode carosello" , che prevede l’interposizione tra il soggetto venditore e l’effettivo destinatario finale di una o più aziende fittizie (cosiddette "cartiere").
Complessivamente sono state coinvolte ben 36 società. Tra queste, 12 sono state anche dichiarate fallite mentre altre hanno cessato l’attività dopo aver accumulato una forte esposizione con l’Erario per il mancato versamento dell’I.V.A. dovuta.
Anche la società forlivese era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Forlì nel novembre 2015, dopo aver maturato debiti per oltre 58 milioni di euro, di cui 4 verso fornitori e ben 54 milioni verso l’Erario.
Con il sistema del "carosello" la società forlivese (che aveva raggiunto un volume d’affari tra i 25 e i 30 milioni di euro all’anno) aveva creato un vorticoso
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giro di fatture false per 60 milioni di euro, che si procurava dalle altre società dell’organizzazione, intestate per lo più a prestanomi, che le permettevano di dedurre i costi sostenuti e di beneficiare indebitamente dei crediti I.V.A. maturati, mentre le società dei prestanomi non presentavano alcuna dichiarazione fiscale.
Gli imprenditori denunciati, oltre all’evidente risparmio d’imposta, hanno immesso in commercio grandi quantità di articoli di elettronica a prezzi più bassi a quelli di mercato, in quanto non caricati dell’I.V.A. non versata dagli interposti posizionati lungo la catena distributiva, producendo una concorrenza sleale nei confronti delle imprese che operano lecitamente.
Gli elementi probatori presunti hanno trovato conforto nella consistente documentazione rinvenuta nel corso delle perquisizioni domiciliari eseguite, nelle diverse provincie emiliano-romagnole, presso le abitazioni dei promotori ed organizzatori della frode carosello, dove sono stati acquisiti anche i computer nella disponibilità degli indagati, che hanno permesso ai finanzieri di ricostruire, oltre al meccanismo fraudolento, anche il patrimonio accumulato nel tempo.
L’Autorità Giudiziaria forlivese, ritenendo fondati gli elementi di indagine acquisiti, ha emesso un decreto di sequestro preventivo, attraverso il quale è stata disposta l’applicazione della" misura cautelare reale" sulle disponibilità liquide giacenti nei conti correnti o depositi bancari e/o postali, nonché sui beni immobili e sui beni mobili registrati (autovetture e motocicli), intestati agli indagati o comunque nella disponibilità dei medesimi, direttamente o per interposta persona.
Tra i fabbricati sottoposti a sequestro, spiccano due ville di pregio, situate una sulle colline bolognesi e l’altra nel comune di Riccione, oltre ad autovetture e motociclette di lusso.
Infine, presso l’abitazione del principale promotore dell’organizzazione criminale sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro anche farmaci dopanti, provenienti dai paesi dell’Est Europa, per un valore quantificato in 50.000 euro circa, conservati senza alcuna prescrizione medica.
I reati contestati vanno dall’utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ed I.V.A., bancarotta fraudolenta documentale (perché non hanno tenuto la contabilità e non hanno fatto rinvenire agli investigatori documenti e fatture) e patrimoniale (perché parte dei capitali della società forlivese sono stati distratti all’estero attraverso la costituzione di una società in Inghilterra che faceva fittizie fatture di consulenza) ed utilizzo e vendita di sostanze dopanti.